Le scorie nucleari in un unico deposito. Ma è giallo sul sito

Ambiente. Sogin: già smantellato il 30% delle centrali italiane, ora serve il nulla osta del (nuovo) governo. E poi via al confronto con le comunità locali. L’ad Luca Desiata: «Rischi bassissimi e alti benefici». Alla Itrec di Rotondella, nel materano, sequestrate vasche e condotte: sverserebbero sostanze cancerogene nello Jonio

di Antonio SciottoIl manifesto – Edizione del 20.04.2018 – “Foto da Il Manifesto”

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Il futuro Deposito nazionale delle scorie nucleari dovrebbe cominciare a funzionare a partire dal 2025 ma si deve ancora individuare il sito dove costruirlo: lì verranno stipati e conservati, protetti da bunker isolanti in cemento, i rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali nucleari che la società pubblica Sogin sta smantellando in un processo detto di decommissioning. Presentando i risultati 2017 e gli obiettivi per il 2018, l’ad Luca Desiata ieri ha spiegato che la bonifica dei siti italiani è arrivata attualmente a quasi il 30%, con l’investimento della metà della cifra prevista (3,6 miliardi di euro su 7,2).

IL RUOLINO DI MARCIA PERÒ è al momento rallentato dall’attesa di un nulla osta alla Cnapi – la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito unico delle scorie – che dovrebbe arrivare dai ministeri dello Sviluppo e dell’Ambiente: il decreto è stato più volte annunciato da tweet del ministro Calenda, e sempre rinviato, ma ora è più probabile che le autorizzazioni verranno dal prossimo governo.

Il processo non sarà quasi sicuramente indolore: le zone individuate – per ora assolutamente top secret – potrebbero infatti registrare la contrarietà delle comunità locali, anche se – assicura Desiata della Sogin – «il progetto è a bassissimo rischio ambientale e può portare importanti benefici al territorio che lo ospiterà, compensazioni e posti di lavoro».

La mappa dei produttori e depositi di rifiuti radioattivi (fonte Sogin)

AL MOMENTO LA SOGIN gestisce il decommissioning delle quattro centrali nucleari italiane – Trino, Caorso, Latina e Garigliano – quello dell’impianto Fn di Bosco Marengo, gli ex centri di ricerca Enea Eurex di Saluggia, Opec e Ipu di Casaccia e Itrec di Rotondella. Proprio l’Itrec – nel materano – è stata oggetto di un provvedimento di sequestro di tre vasche di raccolta delle acque di falda e di una condotta di scarico da parte della magistratura in relazione a una presunta contaminazione delle acque sversate in mare. L’indagine, svolta in collaborazione con i Carabinieri del Noe, parte dall’accertamento della presenza di due sostanze cancerogene – cromo esavalente e tricloroetilene – in una falda acquifera che attraversa l’area dell’impianto e da una condotta arriva fino allo Jonio.

I due agenti cancerogeni, in base alla ricostruzione degli investigatori, sarebbero stati utilizzati per il trattamento delle barre di uranio, ovvero per il «riprocessamento»: nella Itrec sono custodite dagli anni Sessanta 64 barre di uranio provenienti da Elk River (Usa). Desiata ha precisato che «non c’è inquinamento radioattivo» e che «ogni scarico a mare è stato effettuato dalla Sogin mantenendosi entro i limiti radiologici e chimici previsti dalle leggi»; «in ogni caso – ha concluso l’ad Sogin – ci atterremo alle disposizioni della Procura».

UN ALTRO REATTORE DI CUI la Sogin gestisce lo smantellamento è l’Ispra-1, situato in provincia di Varese. Alle scorie nucleari si aggiungeranno i rifiuti di altre attività scientifiche, industriali e mediche. Ma una delle operazioni più complesse da completare nel 2018 è la bonifica dei recipienti (vessel) dei reattori delle centrali del Garigliano (Caserta) e di Trino Vercellese (Vercelli). I macchinari hanno ristretti margini di manovra – gli spazi non furono concepiti per un futuro smantellamento – e per schermare le radiazioni gli impianti vanno sommersi nell’acqua.

In attesa del Deposito unico nazionale, al momento i rifiuti vengono conservati in bunker temporanei situati vicino alle stesse centrali, o deferiti in Gran Bretagna e Francia. La Sogin, come ha spiegato Desiata, viene fuori da una «ristrutturazione» nell’ultimo anno e mezzo, che ha ridotto il personale da 1304 a 1210 unità, registrando nel 2017 la seconda migliore performance per le attività di smantellamento (63,2 milioni di euro, il 13% in più rispetto alla media 2010-2016). Il 2018, nelle stime, è atteso come il migliore anno, portando il budget previsionale a 93 milioni.

LA SOCIETÀ PUBBLICA collabora anche allo smantellamento di una centrale atomica in Slovacchia e di sottomarini nucleari a Murmansk, in Russia, e partecipa a una operazione di mappatura degli oggetti radioattivi presenti sul fondo dell’Artico.

Chiaramente adesso tutto è proiettato verso l’individuazione del sito dove costruire il Deposito nazionale delle scorie: come ha spiegato Desiata, la lista della Cnapi è stata redatta tenendo conto di tre criteri, «la sismicità (il territorio non deve essere sismico), il criterio idrogeologico, cioè il terreno deve essere stabile e lontano dall’acqua, e la lontananza da insediamenti urbani e industriali». Proprio per la vicinanza a fonti di acqua, si esclude che possano essere utilizzate le stesse centrali nucleari in via di decommissioning. L’ad di Sogin dice di aspettarsi «dal nuovo governo un dibattito sereno, aperto, trasparente» – la consultazione pubblica prevista dalla legge durerà 4 mesi – con «possibili candidature spontanee», visto che «il Comune ospitante percepirà le compensazioni pubbliche, 2 mila persone saranno impiegate nei 4 anni di costruzione e poi 700 tra il sito e il parco tecnologico annesso, per 50-60 anni».