Roma, 2 maggio 2018 – Comunicato Stampa RID – Rete Italiana Disarmo
Cresce la spesa militare mondiale: nel 2017 è di 1.739 miliardi di dollari
Pubblicati i dati SIPRI con stime che evidenziano una crescita dell’1,1% rispetto all’anno precedente
Le spese militari mondiali crescono dell’1,1% in termini reali, superando nel 2017 il muro dei 1.700 miliardi di dollari con una valutazione fissata a 1.739 mld US$ pari al 2,2% del PIL mondiale (230 dollari pro capite). Lo certificano le stime del Sipri, l’istituto svedese di ricerca sulla pace, diffuse oggi e relative alla spesa per eserciti ed armamenti di tutti gli Stati del mondo. La leggera crescita, che fa proseguire un trend in atto da alcuni anni, è il risultato dell’incremento ormai da tempo robusto nelle spese dell’area mediorientale – Arabia Saudita su tutti – e del continuo aumento dei fondi militari impiegati da Cina e India. Un aumento che avviene nonostante il drastico taglio delle spese militari della Russia (- 20%) e una stasi in quelle statunitensi che comunque superano, da sole, quelle dei successivi sette Paesi della lista e si prevedono in rialzo già sul 2018.
Il dato relativo al Medio Oriente risulta in crescita di oltre il 6% nonostante non siano valutabili (e quindi esclusi dal conteggio) i dati di paesi in guerra come Siria e Yemen oltre che di storici speditori militari come Qatar ed Emirati Arabi. In Europa si registra un incremento generalizzato, più pronunciato in quella centrale (+12%), e comunque presente in quella occidentale (+1,7%) sia per la percezione di pericolo russo sia per le richieste di aumento di spesa che la NATO sta reiterando. I principali Paesi per spesa militare in Europa sono Francia (-1,9%)m Gran Bretagna (+0,5%), Germania (+3,5%) e Italia (+2,1%). Dunque anche il nostro Paese viene stimato con una spesa militare in rialzo e superiore ai 26 miliardi di euro, circa 29 miliardi di dollari, con un controvalore pari all’1,5% del PIL. Sono numeri che confermano il trend in rialzo già evidenziato dalle analisi dall’Osservatorio Mil€x, più specifico nelle valutazioni sul bilancio dello Stato Italiano.
Di fronte a questo continuo scelta di investimento militare da parte di tutti Paesi del mondo la Campagna globale sulle spese militari (GCOMS), le cui “Giornate di azione” internazionali si concluderanno domani, ribadisce la richiesta di una riduzione della spesa militare con conseguente spostamento di fondi su altre più urgenti necessità. Che andrebbero a favore delle popolazioni di tutto il mondo.
“I fondi attualmente destinati ad usi militari devono essere urgentemente reindirizzati verso i veri bisogni umani! I fondi che oggi vengono spesi negli eserciti sono necessari invece e con urgenza per ridurre le disuguaglianze, per aumentare la cooperazione mondiale, per eliminare le ingiustizie energetiche, per sfidare le dinamiche che stanno spingendo la massiccia crisi di rifugiati e sfollati, per implementare regolamenti globali di mercato basati sulle persone e per costruire un mondo pacifico” si legge nella Dichiarazione internazionale diffusa oggi dalla GCOMS.
“Come primo passo, chiediamo pertanto una riduzione del 10% della spesa militare in tutti i Paesi e le Alleanze, compresa la NATO, al fine di uno spostamento di questi fondi verso i veri bisogni umani e obiettivi sostenibili” è la richiesta fondamentale della mobilitazione internazionale promossa dall’International Peace Bureau e sostenuta da centinaia di organizzazioni della società civile di cinque continenti.
L’obiettivo della Campagna è far pressione sui Governi affinché investano denaro in salute, istruzione, posti di lavoro e cambiamenti climatici, oltre che alla costruzione della Pace, piuttosto che nelle spese militari. La Rete Italiana per il Disarmo sostiene la GCOMS nella richiesta di una riduzione del 10% delle spese militari, a partire da quelli italiane che in particolare sono sbilanciate sulla spesa per il personale e prevedono quasi 6 miliardi di euro annui per l’acquisto di nuovi armamenti. La Rete Disarmo sottoscrive e rilancia del nostro Paese la dichiarazione conclusiva della Campagna internazionale che analizza la situazione derivante da scelte politiche globali influenzate dal complesso militare-industriale: “Gli affari di guerra si basano sul commercio di armi e sulla ricerca di strutture di potere, dominio e mascolinità che provocano morti civili, conflitti degradanti, sfruttamento predatorio del pianeta e contribuiscono attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per promuovere la giustizia globale e ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare i negoziati nel risolvere i conflitti. Produrre e vendere armi è un affare molto redditizio che uccide le persone, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane”.
in allegato la DICHIARAZIONE CONCLUSIVA dei “Global Days of Action on Military Spending 2018”
2018.05.02 Dati_spesamilitare_ITA_GCOMS
2018.05.02 GCOMS_final_statement_ITA
Nuovo allarmante record storico delle spese militari mondiali. Lo indica l’autorevole Sipri (Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace). Per la precisione, il totale di quella parte dei bilanci pubblici di tutti i paesi del pianeta i cui dati sono accessibili andato in acquisti di armamenti nel 2017 è pari a 1739 miliardi di dollari, cioè all’1,1 per cento in più rispetto al 2016, l’anno precedente.
La Repubblica:
Il Manifesto:
https://ilmanifesto.it/tutti-armati-fino-ai-denti/
Rapporto Sipri. Le spese militari crescono a 1.739 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale Pesante riarmo soprattutto di Arabia Saudita Francia e Cina. Il rapporto del Sipri
L’orologio della guerra, la celebre timeline del Doomsday Clock, che segna il cronometro che ci separa dell’apocalisse atomica, bellica o climatica, fissata dagli scienziati dell’Università di Chicago segnala che nel 2016 la lancetta era distante tre minuti dalla «mezzanotte» cioè dalla fine del mondo, nel 2017 si era spostata a due minuti e mezzo e nel 2018 è andata ulteriormente avanti, a due minuti dal disastro.
Più o meno lo stesso andamento della spesa mondiale per gli armamenti e i sistemi d’arma, sempre più tecnologici e sempre più automatizzati, tanto che adesso si sperimentano droni bellici a riconoscimento facciale, micro soldati-robot.
Il rapporto 2018 del Sipri, cioè dello Stockholm international Peace Research Institute, pubblicato ieri, segnala come il Medioriente (+ 6,2% di spesa la regione, + 19 l’Iran e + 22% l’Iraq) sia il vero pozzo di San Patrizio per le industrie armiere anche in questa fase di ribassi dei prezzi petroliferi. «A livello planetario il peso della spesa militare si sta chiaramente spostando dalla regione euro-atlantica», sintetizza Nan Tian, ricercatrice del Sipri.
LE NUOVE ROTTE dei commerci di strumentazioni militari si dirigono sempre più verso Cina e Arabia saudita. Il regno guidato da MbS, con l’abbreviazione con cui viene chiamato il giovane e spigliato rampollo della famiglia Saud, il principe ereditario Mohammad bin Salman ha aumentato la spesa militare nel 2017 del 9,2 % e portato Riyad d’un balzo al terzo posto nel mondo per produzione e acquisti di armi. Un valore tra l’altro sottostimato, visto che una parte di questa spesa – quella stimata è pari a 69,4 miliardi di dollari – come quella che serve a finanziare le milizie jihadiste, passa per canali non del tutto tracciabili.
GLI STATI UNITI di Donald Trump – che di recente ha omaggiato il suo principale alleato MbS di una accoglienza principesca a Washington – si attestano per il momento al vertice della top ten. Gli Usa restano leader mondiali almeno della spesa bellica, con investimenti pari a 610 miliardi di dollari. La quota risulta invariata rispetto al 2016 ma «la tendenza al ribasso delle spese militari statunitensi iniziata nel 2010, si è conclusa», certifica Aude Fleurant, direttrice del programma Sipri-Amex.
E nel 2018 le cifre aumenteranno significativamente per sostenere gli aumenti nel personale militare e la modernizzazione delle armi convenzionali e nucleari. In più c’è da considerare che disinvestendo sulla Nato, gli Usa hanno «cartolarizzato» agli alleati europei una parte degli oneri.
LA FRANCIA in effetti è già in pieno riarmo, nel 2017 è diventata il sesto paese al mondo in questo campo, come sottolinea Le Monde, anche se è stata superata dall’India, che è quinta. Ma è solo l’inizio per entrambi i Paesi. Parigi con un plafond attuale di 57,8 miliardi di dollari di budget per la difesa, pari al 2,3 per cento del suo Pil, ha intrapreso piani di ammodernamento tecnico per il 2025 che la porteranno a mantenere gli stanziamenti al 2% del Pil, come la Nato vorrebbe facessero tutti gli alleati.
L’EUROPA, complessivamente, ha una parte imponente della spesa armiera: nei 29 Paesi l’anno scorso hanno impiegato così 900 miliardi di dollari, il 52% della torta mondiale. Il trend è più accentuato nell’ Europa centrale, dove la crescita è pari al 12 %, con l’alibi della minaccia russa in Ucraina e nella zona danubiana. Minaccia che però al momento non c’è. Il Sipriavverte i che Mosca ha diminuito il budget per il suo esercito per la prima volta dal 1998, una decrescita del 20 per cento fino a 66,3 miliardi di dollari a causa – spiega il ricercatore senior Siemon Wezenam – «dei problemi economici che il Paese vive dal 2014».
L’ITALIA questa volta purtroppo non è fanalino di coda. Vede un rialzo del2,1 per cento, come aveva certificato il rapporto Milex della Rete Disarmo. E la Germania una crescita del 3,5 per cento.
LA CINA ha raggiunto la vetta della classifica, è seconda per volumi dopo gli Usa, con 228 miliardi di dollari, e intende investire ancora con “buona pace” dei venti di pace tra le due Coree. Mentre l’India ha piani molto ambiziosi. Il nuovo regime ultra induista di Narendra Modi, come segnala l’Agenzia Nova, intende passare da essere il principale importatore – deriva dall’estero il 65 per cento delle armi in dotazione all’esercito indiano, in gran parte da Usa e Israele – a esportatore di componenti e prodotti finiti attraverso joint venture e una rete di fornitori, subfornitori, micro fornitori della sua industria bellica principale, statale, attraverso il programma governativo Make in India per l’innovazione del suo sistema produttivo. Per il momento secondo l’Institute for Defence Studies and Analysis la spesa bellica va quasi tutta in stipendi e pensioni e tolte quelle dal 2,1 si passa all’1,6 per cento del Pil in spese per la difesa.