La macchina dell’apocalisse

Elena Camino – Centro Studi Sereno Regis – Torino – lunedì 22 gennaio 2018

http://serenoregis.org/2018/01/22/la-macchina-dellapocalisse-elena-camino/

Pensare l’inimmaginabile…

Si sta verificando una frattura crescente tra la realtà percepita dai singoli individui e la realtà concreta che sta prendendo forma entro i più vasti scenari globali della Terra. Una pioggia più intensa del solito, un’estate fastidiosamente calda, i bambini con una tosse persistente… Per distrarsi da questi fastidi si continuano a fare le cose di sempre: lo shopping, la vacanza, un antibiotico, qualche chiacchiera sui social. Un po’ più lontano, all’orizzonte, si intravedono masse indistinte di persone in movimento, in fuga o alla ricerca di qualcosa, non sappiamo. Ancora più in là un’alluvione, una moria di pesci, un ghiacciaio che scompare… I grandi ecosistemi si stanno trasformando, i cicli bio-geo-chimici cambiano ritmi, il nostro pianeta sta abbandonando le caratteristiche di stabilità che hanno accompagnato tutta la vita dell’umanità.

In questa situazione di crescente rischio e incertezza, invece di unire intelligenze e capacità tecnologiche in un vasto progetto di solidarietà globale che consenta all’umanità di ridurre gli impatti negativi prodotti sulla natura e di mettere in pratica nuovi modelli di sviluppo, si continua a ‘litigare’: un termine quanto mai improprio per descrivere la situazione di caos in cui si trovano vaste aree del pianeta, dove l’unica modalità per affrontare i conflitti è la stessa di sempre, la guerra. La guerra è l’attività umana che ha registrato finora il maggiore successo, sia in termini numerici che tecno-scientifici. Occupa le pagine di storia e le menti delle persone. Sono stati costruiti e vengono impiegati mezzi sempre più potenti per ottenere sempre lo stesso risultato: uccidere.

Ispirandosi alle nuove macchine da guerra l’intrattenimento del mondo virtuale propone scenari apocalittici, e nessuno si chiede se potrebbero verificarsi davvero. Realtà e fantasia si confondono pericolosamente nella mente della gente, soprattutto dei bambini e dei giovani. Nonostante la vasta e approfondita documentazione sui possibili e concreti scenari di un mondo devastato dall’esplosione di ordigni atomici, sembra che molte persone continuino a pensare all’uso dell’arma atomica come a una opzione praticabile. E tra queste persone c’è lo staff del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Alla confusione collettiva tra virtuale e reale si aggiunge la perdita di senso morale.

1952 – Idee e opinioni di Albert Einstein

Per Einstein doveva sussistere un profondo legame tra il progresso scientifico e il progresso morale e sociale dell’umanità, e fino agli ultimi anni della vita cercò di promuovere iniziative collettive contro la guerra.

Finché […] le nazioni non si decideranno ad abolire la guerra attraverso un’azione e a risolvere i loro conflitti e a proteggere i loro interessi attraverso pacifiche decisioni su una base giuridica, esse si sentiranno costrette a prepararsi alla guerra. Esse si sentono obbligate ad apprestare tutti i mezzi possibili, anche i più odiosi, pur di non rimanere indietro nella generale corsa agli armamenti. Questa strada porta necessariamente alla guerra, una guerra che nella presente situazione significa l’universale distruzione.

In queste circostanze la lotta contro i mezzi non ha probabilità di successo. Solo la radicale abolizione della guerra e della minaccia della guerra possono esserci d’aiuto. E’ per questo fine che noi dobbiamo lavorare. […]

Gandhi, il più grande genio politico del nostro tempo, ha indicato la strada. Egli ha mostrato di quali sacrifici siano capaci gli uomini una volta che abbiano trovato la strada giusta. La sua opera per la liberazione dell’India è una vivente testimonianza che una volontà sorretta da una ferma convinzione può più di una forza materiale apparentemente invincibile”.

2018 – Bombe moderne, leggere, utilizzabili…

In un articolo pubblicato pochi giorni fa (Trump aggrava irresponsabilmente la minaccia delle armi nucleari , 15.01.2018) Angelo Baracca – uno studioso specializzato nelle tematiche legate al nucleare civile e militare – sostiene che Trump sta irresponsabilmente alzando la posta per quanto riguarda le armi e la minaccia nucleari, come è confermato dalle indiscrezioni che sono trapelate sulla Nuclear Posture Review che la sua amministrazione adotterà a fine mese. La Nuclear Posture Review (NPR) è un documento che definisce la “postura”, ossia la strategia nucleare che ogni amministrazione statunitense stabilisce all’inizio del proprio mandato. Trump ci riporta indietro di tre decenni, quando però i demenziali arsenali nucleari con 70.000 testate erano per così dire “motivati” con l’intenzione della deterrenza per la minaccia della “Distruzione mutua assicurata”, mentre oggi le armi nucleari vengono sviluppate dichiaratamente per potere essere usate!

Per quanto riguarda la NPR di Trump, secondo il Prof. Baracca gli aspetti cruciali si possono così riassumere: gli Usa svilupperanno nuove testate nucleari di piccola potenza – “più utilizzabili” (more usable) –, e amplieranno le circostanze in cui potranno fare ricorso a queste armi.

Ma fare affidamento a testate di piccola potenza è estremamente pericoloso perché alimenta l’illusione, e quindi la tentazione, che esse possano venire realmente utilizzate, e quindi abbassa pericolosamente la soglia per una guerra nucleare.

Le confessioni di un pianificatore di guerra nucleare

In dicembre 2017 è stato pubblicato negli USA un libro, The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner (La macchina dell’apocalisse: confessioni di un pianificatore della guerra nucleare) il cui Autore, Daniel Ellsberg,i è stato uno dei consulenti della Casa Bianca e della Difesa USA in anni cruciali – guerra fredda, deterrenza, Vietnam…. In questo libro egli ripercorre – per averle vissute personalmente – alcune tappe della drammatica storia dell’escalation nucleare degli Stati Uniti. Tra le molte recensioni già pubblicate sul suo libro vi proponiamo la traduzione di alcuni brani di quella scritta da Fred Kaplan, giornalista e scrittore.

Daniel Ellsberg ha conquistato la notorietà nei primi anni 1970 per aver reso pubblici quelli che furono chiamati i ‘Pentagon Papers’, cioè i documenti segreti del Ministero della Difesa sulla Guerra in Vietnam, e per avere poi apertamente criticato quella guerra e la segretezza con cui era stata condotta. Ma pochissime persone, allora e anche adesso, sono al corrente del fatto che egli trascorse molto del decennio precedente a contatto con studi super-segreti riguardanti la macchina da guerra nucleare degli USA: come funziona, chi può lanciare un attacco, quanta devastazione può derivare se qualcuno mai premesse quel bottone…

Questo nuovo libro di Ellsberg è una memoria, lungamente preparata, di quei tempi: è uno dei migliori libri scritti su questo argomento, ed è certamente il racconto più onesto e rivelatore, visto che è scritto da uno che si tuffò in profondità nella folle logica della preparazione di una guerra nucleare, per poi prenderne le distanze.

Una delle più grandi sorprese del libro si incontra già nel primo capitolo: nel 1969–70, quando Ellsberg trascorreva le notti a fotocopiare i Pentagon Papers, stava anche (e qui lo rivela per la prima volta) fotocopiando tutto, inclusi i documenti segreti collegati ai suoi studi sul nucleare. Aveva intenzione di rendere pubblici anche quelli, dopo le informazioni sul Vietnam, e li diede a suo fratello perché li custodisse in un posto sicuro. Il fratello li seppellì nel giardino di casa, ma poco dopo un’alluvione portò via tutto. A posteriori fu una benedizione, per Daniel: se avesse fatto circolare in pubblico quei documenti – come lui stesso ora ammette – avrebbe rischiato di finire in prigione per anni. […]

Ma evidentemente Ellsberg aveva preso appunti su quel materiale, perché buona parte di questo ultimo libro riassume il contenuto di quei documenti, descrive l’impatto che ebbero sulla sua vita, e spiega perché dovrebbe essere importante riprendere il discorso anche per tutti noi, soprattutto adesso.

Ellsberg ammette francamente che verso la fine degli anni 1950, quando entrò nei ranghi dell’élite degli strateghi nucleari alla RAND (l’Associazione cultural-politica fondata dall’Air Force) egli era un convinto sostenitore della politica della Guerra Fredda, convinto che l’Unione Sovietica rappresentasse una minaccia imminente e che la cosa migliore da fare per fronteggiare la sua aggressività era di minacciare – per ritorsione in caso di attacco – l’uccisione di almeno 20 milioni di cittadini.

Ellsberg era in effetti uno dei principali sostenitori della teoria della deterrenza, che illustrò in numerosi e apprezzati saggi ( come “The Theory and Practice of Blackmail” e “The Political Uses of Madness”) che scrisse mentre era professore ad Harvard e che gli aprirono la strada verso la RAND. […]

Ma la sua prima incursione nel campo della guerra nucleare – uno studio sulle procedure di comando e controllo che gli consentiva l’accesso a documenti segreti e conversazioni con i più importanti uomini di potere – innescò una progressiva messa in crisi della sua visione del mondo. Dall’esame di quelle carte emergeva che il piano per una guerra nucleare – e di piano ce n’era uno solo, senza spazio per una eventuale flessibilità – prevedeva il rapido utilizzo dell’intero arsenale nucleare americano in risposta a un attacco armato, anche una piccola scaramuccia convenzionale, con l’URSS. E una volta impartito l’ordine di attacco, sarebbero piovute bombe non solo sull’Unione Sovietica, ma anche sulla Cina Comunista, anche se i Cinesi non erano direttamente coinvolti (l’Intelligence americana a quel tempo considerava i due paesi come se fossero uno solo).

Un altro shock fu scoprire che il Presidente non era l’unica persona a poter premere il bottone: Eisenhower aveva deciso di delegare questa autorità a un gruppo ristretto di generali e ammiragli, 4 persone, tutte fuori da Washington, che potessero dare l’ordine di lancio nel caso egli ne fosse impedito. Ellsberg accettava la logica che stava dietro a questa scelta: se i Russi avessero potuto disinnescare la macchina della guerra nucleare USA con un attacco a sorpresa su Washington, uccidendo l’unico uomo in grado di dare il comando, sarebbero stati tentati di farlo. Ma come Ellsberg apprese dalle carte segrete, le deleghe non finivano lì: a cascata (nel caso in cui generali e ammiragli fossero uccisi) venivano date a comandanti più giovani, di servizio su navi in mezzo all’oceano, che avrebbero così avuto l’autorizzazione a lanciare l’attacco. Una volta che i bombardieri avessero ricevuto l’ordine di partire (allora non c’erano ancora i missili balistici) sarebbe stato difficilissimo richiamarli alla base.

[…] Proprio l’anno in cui uscì sugli schermi il film – diventato poi famoso – il Dottor Stranamore, nel 1964, Ellsberg stava lavorando da tre anni come assistente del Segretario della Difesa, Robert McNamara. Proprio all’inizio di questo lavoro Ellsberg inviò un appunto (firmato da McNamara) ai Capi dello staff, chiedendo quante persone sarebbero morte se gli Stati Uniti avessero lanciato un attacco nucleare. La risposta giunse in forma di un messaggio indirizzato solo al Presidente, anche se pochi altri lo lessero, incluso Ellsberg: tra 275 milioni e 325 milioni tra USSR e Cina. “Quel pezzo di carta non avrebbe dovuto esistere – così Ellsberg ricorda di aver pensato quando lo lesse. “Descriveva il male al di là di ogni possibile progetto umano… Da quel giorno il mio obiettivo principale nella vita divenne uno solo: prevenire la realizzazione di quel piano”.

Ellsberg e numerosi altri dei ‘brillanti ragazzi’ dello staff di McNamara si impegnarono molto per modificare quel piano di attacco nucleare, e suggerirono ai militari di limitare l’eventuale attacco alla Russia, senza puntare anche sulla Cina, e di mirare a obiettivi militari e non alle città.

Ma – come egli stesso scoprì in seguito – il Pentagono e gli alti Comandi delle forse aeree a Omaha non presero mai sul serio quei suggerimenti fino agli anni 1970 e 1980, quando furono introdotte flessibilità e restrizioni ai piani di attacco nucleare.

Nel frattempo gli scienziati avevano scoperto ‘l’inverno nucleare’: in conseguenza alle esplosioni, si sarebbero alzate nell’atmosfera enormi e dense masse di fumi che avrebbero intercettato la luce del sole in vaste parti del pianeta, spegnendo così tantissime forme di vita. Quindi anche una guerra nucleare che prima si sarebbe potuta pensare come ‘limitata’ avrebbe avuto effetti planetari catastrofici.

Una follia istituzionalizzata

In quel periodo Ellsberg conosceva molte delle persone che avevano scritto i piani di guerra e li avrebbero fatti eseguire, allo scopo di uccidere milioni di persone. “Non erano persone cattive: ma erano intrappolate nella morsa di una follia istituzionalizzata”. L’esistenza stessa di grandi arsenali nucleari predisposti per un reciproco attacco in risposta a una improvvisa allerta, costituiva di per sé una “macchina per l’apocalisse”.

La logica che sta alla base di una simile ‘macchina’ è proprio quella che crea le condizioni perché la catastrofe avvenga. Dato che i missili balistici possono colpire i bersagli 30 minuti dopo il lancio, la decisione di lanciarli spetta al presidente. Ma dato che il presidente potrebbe essere ucciso in un attacco a sorpresa, è necessario individuare delle deleghe. Ma le più potenti e precise armi nucleari – i missili balistici intercontinentali – sono anche le più vulnerabili, e può nascere la tentazione di lanciarli al primo allarme, perché “o si usano, o si perdono”. Sono tutti ragionamenti logici, e tutti contengono un pizzico di quella che Ellsberg chiama ‘follia criminale’.

Ellsberg vorrebbe vedere l’abolizione delle armi nucleari, ma ha una mente abbastanza logica e pratica da capire che non si tratta di un traguardo vicino, dato lo stato della politica globale, della politica nazionale di molti Paesi, e di qualche componente ‘svitata’ della specie umana. Egli offre qualche suggerimento a breve termine che potrebbe facilitare qualche passo verso lo smantellamento della ‘macchina’

Primo, smantellare i missili intercontinentali con basi a terra, quelli che più di tutti invogliano a intraprendere azioni ‘preventive’. Secondo, abbandonare i piani che mirano ad attaccare i leaders (quelli che in gergo vengono chiamati “decapitation strikes”, cioè azioni mirate a uccidere i comandanti in capo): da un lato per evitare la catena di deleghe verso i sottoposti, e dall’altro per non trovarsi senza interlocutori validi e riconosciuti, una situazione pessima se si volesse negoziare.

La sua terza proposta – che suscita contrarietà anche in molti che in termini generali condividono la sua posizione – è dichiarare che gli Stati Uniti non useranno mai armi atomiche se non in risposta a un attacco nucleare sferrato da altri. Nessun presidente degli Stati Uniti si è mai espresso in questo senso, anche se Barack Obama ci aveva pensato seriamente. Fin dall’inizio i piani nucleari USA hanno previsto di usare per primi l’arma nucleare, spesso in risposta a un attacco convenzionale da parte del nemico.

Secondo i conti fatti da Ellsberg, sia sulla base delle proprie osservazioni che dell’esame della letteratura, i presidenti degli Stati Uniti hanno minacciato almeno 25 volte di usare ordigni nucleari dalla fine della seconda guerra mondiale: a suo parere questo vuol dire che davvero le armi nucleari sono state usate, nello stesso modo si ‘usa’ una pistola quando la si punta contro un’altra persona. Inoltre ammette che in parecchi di quei 25 casi è “plausibile che le minacce fossero reali” o almeno – ciò che importa in questo discorso – le minacce erano considerate reali da alcuni alti ufficiali. In altre parole, non si può escludere che alcune guerre avrebbero potuto scoppiare – o potrebbero scoppiare – se non fosse in atto la minaccia nucleare. D’altra parte – fa notare Ellsberg – una nazione può ricorrere al bluff della minaccia nucleare solo un certo numero di volte, prima che la minaccia non venga considerata un bluff. La guerra che ne deriverebbe causerebbe una devastazione di gran lunga maggiore di tutti i conflitti non nucleari evitati fino a quel momento.

Se Ellsberg avesse finito di scrivere questo libro in qualsiasi momento tra la fine della guerra fredda e il 2016, avrebbe suscitato interesse negli studiosi di nucleare e in pochi altri. Ma le bravate di Donald Trump e le sue minacce contro la Corea del Nord in risposta a semplici test nucleari ha fatto riemergere delle paure che da decenni non si provavano più.

L’avvento di Trump e la pubblicazione di questo libro giungono anche in un momento in cui alcune parti dell’arsenale militare USA stanno invecchiando, e il Pentagono sta chiedendo finanziamenti per un vasto programma di ‘modernizzazione’ allo scopo di procedere al ricambio di bombardieri, missili e sottomarini, per un costo di 1,2 migliaia di miliardi di dollari nei prossimi decenni. Trump si è dichiarato entusiasta del programma, e in sede di Congresso solo pochi si sono opposti.

Persino Obama, che fece scalpore invocando l’eliminazione delle armi nucleari (in qualche momento in futuro…) si era espresso a favore di un rinnovo, per quanto parziale, dell’arsenale nucleare, almeno per assicurarne il funzionamento. Questo porta alla quarta proposta di Ellsberg: una riduzione drastica nel numero di armi nucleari: in parte per ridurre la devastazione che causerebbero in caso di una guerra, in parte perché le migliaia di armi di cui dispongono USA e Russia (più le centinaia di Cina e Israele) sono sufficienti a uccidere ben più degli abitanti della Terra.

Quanti morti occorrono?

Dall’inizio dell’era nucleare gli analisti si sono chiesti quanti ordigni sono necessari per scoraggiare un nemico dal lanciare un attacco nucleare. Negli anni 1960 McNamara e i suoi giovani brillanti avanzarono un numero: 20 milioni di Russi, più o meno lo stesso numero dei caduti durante la seconda guerra mondiale. Ma questo è sempre stato un numero arbitrario, un modo per porre un freno agli appetiti dei militari.

[…] Molti ufficiali addetti alla sicurezza, quando lasciano il servizio, riprendono un modo di pensare più umano. Ellsberg cita McGeorge Bundy (che fu addetto alla sicurezza durante la presidenza di Kennedy) il quale, anni dopo aver lasciato l’incarico, affermò che l’esplosione di 10 bombe nucleari avrebbe provocato un disastro che avrebbe fermato la storia umana. Herbert York, già direttore scientifico del Pentagono, aveva stimato che un numero tra 1 e 100 bombe nucleari sarebbe stato sufficiente a scoraggiare un nemico ad attaccare. Una valutazione simile viene fatta anche oggi: c’è così tanta gente che è spaventata dal fatto che la Corea del Nord possiede una dozzina di testate nucleari. Che Kim Jong-un abbia o no in mente di lanciare un missile sulla California (cosa improbabile, visto che sarebbe immediatamente ripagato con migliaia di bombe), quello che è evidente è che basta quella dozzina di bombe per tenere a freno gli Americani dall’attaccare per primi…

Aggiornamenti dal Bollettino degli scienziati atomici

E’ del 17 gennaio 2018 un breve articolo pubblicato da Lauren Borja e M. V. Ramana: “Un promemoria dalle Hawaii” (A reminder from Hawaii ). Gli Autori segnalano che il 13 gennaio scorso i residenti delle Hawaii hanno ricevuto un allarmante avviso telefonico “Segnalata minaccia di missile balistico che punta verso le Hawaii. Cercate immediatamente riparo, questa non è una esercitazione”. Entro pochi secondi si diffuse la paura e la gente cominciò a cercare dei rifugi. Nel frattempo un diverso tipo di panico si stava diffondendo negli uffici dell’Agenzia di Gestione degli allarmi: gli impiegati si resero subito conto che non esisteva una procedura per cancellare ufficialmente un’allerta che risultasse erronea. Così, 12 minuti dopo l’allarme, gli avvisi del falso allarme furono diffusi tramite Twitter e attraverso programmi di News. Ci vollero alla fine 38 minuti perché l’allarme venisse ufficialmente smentito. Il falso allarme diffuso alle Hawaii è uno dei rari casi in cui il pubblico riesce a dare un’occhiata nel mondo segreto delle armi nucleari. In questo mondo errori e malfunzionamenti si verificano in diversi dei sistemi connessi con l’arsenale nucleare. Uno dei sistemi che risulta particolarmente delicato è quello di allerta precoce, i cui componenti (satelliti, radar ecc.) devono accorgersi della presenza di missili diretti verso gli Stati Uniti e avvisare al più presto gli addetti responsabili dei missili americani, per un eventuale ordine di lancio. Il sistema di allerta precoce è estremamente complesso, e coinvolge migliaia di componenti, e una schiera di persone addette alla manutenzione e alle operazioni. Le componenti tecnologiche possono guastarsi, e le persone – esseri umani – possono sbagliare. Dalle informazioni ottenute grazie al Freedom of Information Act risulta che dal 1977 al 1984 sono stati segnalati in media 2.598 allarmi all’anno: nessuno era stato prodotto in risposta a un lancio effettivo di missili.

[…] Gli Autori, dopo aver descritto nell’articolo i dettagli di alcuni falsi allarmi già avvenuti, e avendo indicato nella necessità di una rapidissima risposta uno degli aspetti cruciali e più problematici di tutto il sistema, concludono così:

Ma è giusto che qualcuno sia autorizzato – o obbligato – a prendere decisioni simili, rischiose e affrettate? E’ giusto che i missili siano tenuti in una condizione di continua allerta, pronti a partire dopo un preavviso così breve? Dovremmo davvero rischiare la guerra nucleare, specialmente una guerra che nessuno ha intenzione di iniziare? La risposta – come dice la canzone del Premio Nobel Bob Dylan – ‘is blowing in the wind’. Ciò che è accaduto alle Hawaii ci rammenta che dobbiamo fare attenzione”.

Chi è Daniel Ellsberg (dal sito personale: http://www.ellsberg.net/bio/ )

Nato nel 1931, diplomato in Economia ad Harvard nel 1952, poi borsista al King’s College di Cambridge, dal 1954 e il 1957 lavorò nella Marina degli Stati Uniti, come comandante di una compagnia di fucilieri.

Prese il dottorato in Economia ad Harvard nel 1962 con una importante tesi sui processi decisionali in condizioni di rischio (Risk, Ambiguity and Decision).

Nel 1959 Ellsberg divenne analista strategico presso la RAND Corporation e consulente del Ministero della Difesa e dalla Casa Bianca, specializzandosi sulle problematiche di comando e controllo nel settore nucleare. Lavorò quindi due anni all’Ambasciata USA a Saigon dal 1965 al 1967, per tornare poi alla RAND a lavorare sui problemi del Vietnam. Nel 1969 fotocopiò le 7.000 pagine della ricerca segreta condotta in quegli anni e le consegnò prima al Senato (Foreign Relations Committee) poi . nel 1971, al New York Times, the Washington Post e ad altri 17 quotidiani. Processato, alla fine fu assolto per presunte scorrettezze compiute nei suoi confronti da membri del governo.

Ellsberg è autore di alcuni libri: The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner (2017,), Secrets: A Memoir of Vietnam and the Pentagon Papers (2002,) Risk, Ambiguity and Decision (2001,) and Papers on the War (1971). Nel 2006 ha ricevuto un riconoscimento internazionale, il Right Livelihood Award , “ per aver messo in primo piano la verità, anche a rischio personale, e aver dedicato la vita a ispirare altri a seguire il suo esempio